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Immagine del redattoreMartina Monari

Il giorno della civetta

Sorprende come Sciascia abbia anticipato i tempi prevedendo la modalità di indagine utilizzata poi da Falcone e dal pool antimafia: seguire le “tracce” del denaro per scoprire gli affari mafiosi. È ciò che fa il Capitano dei Carabinieri di un piccolo paese siciliano per individuare il filo conduttore che lega più omicidi.

Il Capitano trasferitosi dal Nord Italia cerca di capire la mentalità siciliana considerando i fatti e i comportamenti delle persone anziché l'affermazione degli uomini di potere e di alcuni siciliani stessi, cioè che la mafia non esiste. Il protagonista è amareggiato da questa mentalità quando si rende conto che, pur utilizzando modi gentili e consoni ad evitare l'abuso della propria autorità, non ottiene l'informazione decisiva, anzi, questa viene rivelata solo dopo che il maresciallo ha intimidito la donna interrogata; evidentemente la donna non si fida delle forze dell'ordine e quindi decide di confessare ciò che sa solo nel momento in cui si sente costretta. È l'unico momento in cui la frustrazione, la disillusione e la “sensazione di impotenza” sono tali da far desiderare al Capitano di essere altrove, al Nord, fra la “sua” gente e i suoi amici, lontano dalla Sicilia e dalla sua cultura malata.

Ma è l'unico momento.

Il Capitano ormai si è innamorato di quella Terra e, nonostante tutto, di quelle persone. Non potrà tirarsi indietro.


Le critiche di Sciascia sono implicite negli eventi narrati e spesso espresse dagli stessi personaggi mafiosi. Interessano coloro che favoriscono in modo più o meno diretto la mafia: il clero, le stesse forze dell'ordine e soprattutto i politici, intravedendo un legame tra mafia e politica accertato giudizialmente solo molti anni dopo.

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